Metà di un sole giallo di Chimamanda Ngozi Adichie la storia di molte Afriche:
Nel 2010 Chimamanda Ngozi Adichie fu universalmente dichiarata l’autrice femminista più influente e nel 2015 era sulla lista delle 100 persone più influenti al mondo secondo la rivista «Time».
Metà di un sole giallo, uscito nel 2006 e pubblicato in Italia da Einaudi nel 2008 è il suo secondo romanzo dopo L’ibisco viola del 2003.
Si tratta di un romanzo storico ambientato alla fine degli anni Sessanta, e l’autrice, nata nel 1977, ha certamente compiuto non facili ricerche d’archivio e su testimonianze dentro e fuori la famiglia per giungere a una scrittura che parte sempre da esperienze di vita personali, ma è aderente alla verità storica.
I nonni di Chimamanda morirono in un campo per rifugiati nel periodo (6 luglio 1967 – 15 gennaio 1970) in cui la nazione era dilaniata dalla guerra civile nota come guerra del Biafra. Il libro è idealmente a loro dedicato. Il mezzo sole giallo è il simbolo adottato sulla bandiera della Repubblica del Biafra che nel 1967 dichiarò la sua indipendenza dalla Nigeria.
L’autrice appartiene a una famiglia di intellettuali Igbo, di religione cattolica. Cresciuta nella città universitaria di Nsukka nella regione di Enugu, nella casa che era stata del famoso scrittore Chinua Achebe, ha considerato questo autore una costante fonte di ispirazione.
La guerra viene rivisitata attraverso le storie frammentarie di diversi personaggi. Questa scelta narrativa corrisponde alla visione politica della letteratura espressa da Chimamanda Adichie. Resistenza contro il pensiero unico espresso da un’unica narrazione. Quella che attraverso i media ci fa pensare “gli Immigrati” come un’entità uniforme e disumanizzata.
In una sua conferenza l’autrice riferisce della vergogna provata visitando il Messico dopo il suo soggiorno pluriennale negli Stati Uniti. La visione con cui i media avevano contagiato anche lei era un’unica narrazione di immigrazione selvaggia nella miseria e nell’illegalità. Arrivando in Messico si trovò di fronte un’umanità impegnata a vivere vite operose e creative. Le tornò allora alla mente la narrazione unica sull’Africa: un continente enorme dove niente è mai uguale a niente e che il pensiero unico descrive come ignorante e bisognoso, violento, disordinato, povero. In perenne attesa della redenzione portata da qualche bianco gentile.
L’opera di Chimamanda Adichie è letteratura alta, ma al tempo stesso è letteratura militante – le due cose non si escludono – nel suo essere ritratto della complessità, rappresentazione delle molte sfaccettature di un mondo. Leggendola è impossibile non capire che la definizione “Africa”, più che coloniale e liquidatoria è fondamentalmente ridicola.