“Le artiste blues e jazz contemporanee provengono da contesti etnici e razziali diversi e il pubblico di questa musica va ben oltre i confini della cultura nera. Con la globalizzazione della distribuzione musicale la diffusione della musica nera e del suo portato culturale e storico non può più essere confinata all’interno delle comunità afroamericane. In questo contesto le interpretazioni femministe sull’eredità delle cantanti blues e jazz possono contribuire alla conoscenza di una coscienza femminista che attraversa i confini di razza e di Classe …..Il fatto che non sia riuscito a emergere un dibattito costruttivo sulle problematiche politiche di genere (e il conservatorismo generale) della Million Men March sono esempi ulteriori dell’opinione diffusa nelle comunità nere che la razza debba sempre avere la precedenza e che sia implicitamente di genere maschile. … Un libro come Blues e femminismo nero non diffonderà il femminismo nelle comunità nere. Tuttavia spero che dimostri che ci sono molteplici tradizioni femministe afroamericane… e che non sono solo scritte ma anche orali… Spero quindi che le analisi che presento convincano che è possibile interpretare il lavoro di queste tre insigni artiste del passato afroamericano come un contributo alla formazione di eredità altre del femminismo: eredità blues, eredità nera working class”

Quale recensione migliore di questi brani scritti dalla stessa Angela Davis e tratti dall’introduzione al volume per chiarire gli intenti dell’autrice?
“intersezionalità° è un termine proposto nel 1989 dalla attivista e giurista K imberelé Crenshaw per descrivere la sovrapposizione (o intersezione) di diverse identità sociali.
Angela Davis applica il concetto allo studio dell’eredità lasciata da tre famose cantanti Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday.
Otto capitoli di cui tre introduttivi dedicati il primo gli ideali di vita domestica e sessualità che traspaiono dai testi- oltre 300 presi in esame e tutti pazientemente scalettati dalla Davis — il secondo ai rapporti tra donne, intitolato rivali fidanzate e consigliere e il terzo al tema del viaggio inteso come possibilità di libertà che si offriva ad ex schiave, legate a un posto e un padrone.
Seguono i capitoli dedicati alle singole artiste, Per Ma Rainey si sottolinea la creazione del ruolo fondante della figura della cantante di blues e culminante nella figura di Bessie Smith “L’imperatrice del Blues”. Poi un capitolo dedicato a come la Harlem Renaissance, fatta di scrittori e artisti neri “colti” abbia di massima trascurato e non compreso la valenza di cantanti che si rivolgevano alla donne nere lower class, casalinghe e lavoratrici.
Un particolare occhio di attenzione interpretativa è dato a Billie Holiday, che deve la sua inclusione alla particolare modulazione e riconfigurazione data ai testi di ballads popolari bianche, sdolcinate e conformi agli stereotipi di genere – si pensi all’interpretazione di un testo tradotto da “Mon homme” che giustifica la violenza — e non di testi originati dalle comunità e cantanti nere. Il mercato di acquirenti neri era crollato dopo la crisi del ‘29 e i tempi di Ma Rainey e Bessie Smith, che producevano musiche e testi ben più ruvidi e realistici legati alla vita delle comunità nere, erano passati. Se Billie Holiday avesse rifiutato le produzioni di Tin Pan Alley sarebbe stata tagliata fuori dal mercato.
La Davis si richiama al concetto di “Dimensione estetica” del suo insegnante Marcuse e dice “La mia tesi è che la “dimensione estetica” nell’opera di Billie Holiday rappresenti una simbiosi, che deriva dalla – e vi contribuisce a sua volta – storia sociale e musicale afroamericana, in cui l’agency politica delle donne è alimentata dal potere estetico e viceversa lo alimenta. E’ questa dimensione delle canzoni di Lady Day a spiegarne il fascino intramontabile, la capacità di confermare e al tempo stesso sovvertire le rappresentazioni razziste e sessiste di donne innamorate”
Il capitolo finale è dedicato a Strange Fruit, cui la Holiday è indissolubilmente legata e che lei definì il suo personale inno di protesta. Lady Day non fu mai in testa alle classifiche, e certo Strange Fruit non era una canzone da successo di pubblico. Lei disse “Ci lavorai sopra come una dannata perché non ero mai sicura di riuscire a trasmettere o di poter comunicare al pubblico di un night club di lusso ciò che significava per me” Commenta la Davis che ciò dimostra che la sua immagine mediatica di una “looser” non ne rappresenti il pensiero e l’autonomia nelle scelte artistiche e professionali.
Sarebbe bello incrociare questa mia lettura con altre: e se fossero donne che cantano reinterpreterebbero di sicuro questo testo: Come del resto le cantanti blues nel tempo reinterpretano i songs .
A mo’ di esempio, consiglio chi legge questa recensione di ascoltare le versioni di “Nobody knows you when you’re down and out” a partire dalla prima di Bessie Smith a quelle degli anni 60 di Nina Simone e Janis Joplin sino a quella degli anni 80 di Alberta Hunter – che raccomanda nell’introduzione di essere economicamente indipendenti — e via via a cadere sino ai giorni nostri . L’intreccio delle voci darebbe conto dell’intersezionalità delle identità che si costruiscono anche nel progredire dei tempi e che è il succo di questo libro.
Ad for “Prove It On Me Blues.” — “What’s all this? Scandal? Maybe so, but you wouldn’t have thought it of ‘Ma’ Rainey. But look at that cop watching her! What does it all mean? But ‘Ma’ just sings ‘Prove It on Me.’ ”