Adrienne Rich, Nato di donna, Milano, Garzanti, 1977, 310 p.
Titolo originale: Of woman born, W.W. Norton & Co., 1976
Scheda critica di Giuseppina Corrias[1]
Adrienne Rich è nata a Baltimora nel 1929 e chi volesse conoscere particolari della sua vita li può trovare sparsi nei testi da lei scritti, in
particolare in questo Nato di donna e in Segreti Silenzi Bugie[2]. Quest’ultimo ha come sottotitolo Il mondo comune delle donne (perfino i titoli di Adrienne Rich hanno avuto la forza di rivoluzionare l’immaginario, il linguaggio e in profondità il simbolico delle donne) ed è una raccolta di saggi, scritti in varie occasioni dal 1966 al 1978, in cui l’ultimo capitolo (tanto per prenderne uno a caso), Prendere sul serio le studentesse, può essere considerato uno dei germi di tutte quelle riflessioni che daranno luogo in Italia al movimento pedagogico che va sotto il nome di “Pedagogia della differenza”, il cui testo iniziale, a cura di Anna Maria Piussi, si intitola proprio così.
Il titolo del libro della Rich, Nato di donna. Cosa significa per gli uomini essere nati da un corpo di donna, sembrerebbe promettere altro da quanto se ne dice nel retro copertina: “il primo grande libro femminista interamente dedicato al tema della maternità”. La spiegazione dell’apparente incongruenza si trova nell’introduzione stessa, dove Rich afferma che scopo del suo lavoro è proprio quello di “distinguere tra i due significati di maternità, di solito sovrapposti: il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e con i figli; e l’istituto della maternità, che mira a garantire che tale potenziale — di conseguenza le donne — rimanga sotto il controllo maschile” (istituto, questo della maternità, che ella dice essere stato la chiave di volta dei più disparati sistemi sociali e politici).
Questa affermazione, qui è stata posta in particolare rilievo perché ci sembra che questa sia la grande scoperta che Rich ha regalato alle donne e alla storia del pensiero. Lo affermiamo senza enfasi ma anche con grande determinazione . Dopo questo disvelamento della realtà, qualunque parola sulla maternità e su tutto ciò che ha a che fare con essa — e non è poco, o forse, da un punto di vista simbolico, è quasi tutto — ne esce trasformato.
Nel leggere questo testo, si ha la sensazione di non trovarsi di fronte ad un ricercare a tentoni, un imboccare una strada al buio che ogni tanto permette svolte che illuminano qualche recesso nascosto: è evidente fin da subito, invece, che si tratta di uno sguardo aperto che da un punto di vista privilegiato — l’incominciare a dire la verità — fa luce su tutta la realtà, come se, conquistato il punto giusto di osservazione, tutto il paesaggio — che altro poi non è se non il sistema patriarcale — venisse allo scoperto, dispiegandosi semplice e chiaro sotto ai nostri occhi.
“La potenza di una verità è la sua capacità di rottura che, per quanto mai comunicabile e costituente un insaputo e un fuori, rimaneggia i referenti delle comunicazioni e si riverbera sulle opinioni e i modi della socializzazione”, dice Chiara Zamboni[3], ed è questa “potenza” che, ancora oggi, a distanza di vent’anni, è possibile rintracciare nel libro di Adrienne Rich e che ne fa ancora un testo essenziale nella riflessione delle donne.
Ciò che sembra interessante a questo punto, dunque, non è tanto rifare il percorso del testo ma individuarvi alcuni dei nodi che, a partire da questo punto di osservazione, vi vengono affrontati e che le donne hanno portato avanti nella loro pratica politica, a cominciare dal “metodo” del “partire da sé”, così espressa nell’introduzione di Nato di donna:
Questo libro ha radici nel mio passato personale; è strettamente legato a parti della mia vita che erano rimaste sepolte (…) per molto tempo ho evitato questa esplorazione degli anni della gravidanza, della prima infanzia dei miei figli perché significava rivisitare un dolore e una rabbia che preferivo ritenere ormai risolti e superati. (…) Quando ho iniziato a scrivere questo libro non capivo tutto ciò. Sapevo solo di aver vissuto qualcosa che viene ritenuto centrale nella vita di una donna, appagante anche nei suoi dolori, la chiave del significato della vita, e di cui io ricordavo poco salvo l’angoscia, la stanchezza fisica, la rabbia, l’autoaccusa , la noia e l’ambivalenza ( …) per mesi mi sono rifugiata in ricerche e analisi storiche per rimandare o preparare il momento in cui mi sarei avventurata in aree della mia vita dolorose e problematiche che però costituiscono la vera molla di questo libro (p. 12)
Queste affermazioni trovano tutta la loro potente significazione se non le si confonde con una forma, alta quanto si voglia, di autobiografismo ma come “la disponibilità a condividere esperienze personali e a volte penose” che sola “può mettere le donne nella condizione di creare una descrizione collettiva del mondo che sia veramente nostra” (ibidem). In queste parole troviamo, dunque, non la semplice indicazione di un metodo bensì di una “pratica politica “ che ha la capacità, come dice Luisa Muraro, di “trasformare un’esperienza vissuta in prima persona, in un sapere di sé e del mondo”[4] o come dice ancora Chiara Zamboni di “trovare le parole per dire il reale e per portarlo alla sua verità” e di come, perché questo avvenga, occorra “ritornare ai vissuti nel loro farsi: ai desideri, ai sentimenti, alle contraddizioni in cui ci dibattiamo” e di come in questo consista “il senso politico del partire da sé, proprio per il suo elemento di rottura nei confronti delle forme simboliche dominanti e l’apertura di un’altra via”. Non si tratta affatto di parlare di sé e di crogiolarsi nell’interiorità, bensì di “interpretare un vissuto personale come modo di darsi del mondo.”[5]
Questo è quanto ha fatto Rich sulla maternità con la chiarezza che il suo libro “non è un attacco alla famiglia o alla maternità, se non nei limiti in cui esse sono definite e soffocate dal patriarcato”. Ed è proprio il patriarcato il primo punto nodale del testo. Il regno dei padri si intitola il terzo capitolo in cui si legge:
Patriarcato è il potere dei padri: un sistema socio-familiare, ideologico, politico in cui gli uomini — con la forza, con la pressione diretta, o attraverso riti, tradizioni, leggi, linguaggio, abitudini, etichetta, educazione e divisione del lavoro determinano quale ruolo compete alle donne (…) Sotto il patriarcato posso vivere avvolta in un purdah o guidare un camion; posso allevare i miei figli in un kibbuz o essere il solo sostegno di una famiglia senza padre o partecipare a una manifestazione per la legge sull’aborto con un bambino in braccio; posso essere un “medico scalzo” in un villaggio della Cina popolare, o vivere in una comune di lesbiche della Nuova Inghilterra; posso diventare un capo di stato per diritto di nascita o per elezione o lavare la biancheria della moglie di un miliardario; posso preparare il caffè a mio marito tra le pareti d’argilla di un villaggio berbero o vestire la toga accademica, quale che sia il mio status o la mia posizione, la classe sociale a cui appartengo, o le mie preferenze sessuali, io continuo a vivere sotto il potere dei padri, e a me saranno aperti privilegi o influenza solo nella misura in cui il patriarcato e disposto a concedermeli, e solo a condizione che io paghi il prezzo dell’approvazione maschile (p. 56).
Criticando Lee Sanders Corner, una femminista marxista inglese, che vede nel capitalismo l’origine della divisione del lavoro tra l’uomo e la donna – all’uomo la fabbrica e alla donna la casa — Adrienne Rich ritiene invece che si ha a che fare con un sistema che “predata il capitalismo ed è sopravissuto nel socialism” e aggiunge: “Il corpo della donna è il terreno su cui è stato eretto il patriarcato.” Quella che allora poteva apparire a qualcuno/a la scandalosa affermazione di un’intellettuale americana “poco di sinistra”, era invece la chiarezza che le donne andavano acquisendo sulla loro “internità” rispetto al sociale e al politico [6] ed è in questa direzione che è maturato il movimento delle donne e in particolare il “pensiero della differenza”, fino ad arrivare al Sottosopra del gennaio 1996, che afferma che il “patriarcato è finito”.
è finito, o comincia a finire, il controllo del corpo femminile fecondo e dei suoi frutti, da parte dell’altro sesso (…) hanno contribuito a questo esito lo sviluppo economico (…) la medicina (…) ma il progresso economico e scientifico di suo non avrebbe significato libertà se non fosse stato accompagnato dalla presa di coscienza femminile e, cosa più importante, non fosse stato preceduto e quasi anticipato dall’amore femminile della libertà (…) il patriarcato che non fa più ordine nella mente femminile, deperisce prin cipalmente come dominio datore di identità[7] .
Ed entriamo, così, direttamente nel secondo nodo che già Rich aveva acutamente individuato e cioè quello del “potere”, di come esso è inteso in tale sistema e di come si gioca nel rapporto tra uomini e donne. Ecco alcune sue osservazioni in proposito : “quando la donna comincia a reclamare una piena umanità, il significato di potere diventa una questione primaria.”; “Il linguaggio del potere patriarcale insiste su una dicotomia: perché una persona abbia potere, altre, o un’altra, devono essere impotenti”.
E questo il potere che interessa alle donne? O meglio: “Sottraendoci all’oppressione verso cosa ci muoviamo?” Ed è subito chiaro che per lei non si tratta né di facili aggiustamenti, né tanto meno di “pari opportunità” ma di “rivoluzione femminista”, di una società “post-androgina”, e di nascita di un “nuovo tipo di genere umano”, una rivoluzione per la quale non si deve aspettare aiuto da nessuna altra rivoluzione maschile.
Per quanto in teoria gli uomini possano auspicare la “liberazione della donna” in qualsiasi tipo di ordine sociale possano ideare, per quanto consciamente possano desiderare l’abolizione della divisione dei sessi, essi continuano inconsciamente a vivere nella caverna della loro soggettività, delle loro paure e desideri soffocati; e pochi uomini sono in grado di affrontare quel mondo di ombre. Il patriarcato, per quanto li abbia traditi, li abbia separati dal loro io, è pur sempre l’ordine del maschio, che gli assicura il privilegio. (p. 82)
Troviamo qui in nuce una delle ragioni della pra tica politica del “separatismo”, che trovò una più chiara esplicitazione nel successivo testo Segreti Silenzi Bugie e che spazzava via ogni convinzione di “doppia militanza”: una da viversi nei “gruppi di autocoscienza” e una nelle organizzazioni miste. Le pagine nelle quali Rich descrive una società avveniristica in cui domina la scienza e la tecnologia anche nel campo riproduttivo, anticipano quella che oggi definiremo una società in cui le “pari opportunità” e l’emancipazione delle donne hanno trionfato, ma non servirebbe, ella ne è certa, ad abolire il sistema patriarcale, perché proprio la relazione con il “potere” materno, e la sua negazione derivante dalla paura, è all’origine del disordine del sistema patriarcale.
Ciò che impedisce agli uomini di affrontare seriamente i problemi della divisione dei sessi e della misoginia istituzionalizzata è in gran parte l’ambiguità che è al cuore del patriarcato: l’idea della sacralità della maternità e del potere redentore della donna in quanto mezzo, cui si oppone la degradazione delle donne nell’ordine creato dall’uomo. (p. 82)
Nell’esaminare i rapporti di potere prima e dopo — o, forse, meglio: dentro e fuori — del sistema patriarcale la Rich ci offre, a partire dagli stessi titoli che inventa per sintetizzarne i contenuti, intuizioni che sono diventate pietre basilari nella riflessione delle donne. Il primato della madre, per esempio, è il titolo di un capitolo in cui affronta il rapporto delle donne con il passato, e M aternità addomesticata quello in cui esamina il modo in cui, secondo lei, si è passati da una cultura prepatriarcale in cui “il rapporto madre-figlio è il rapporto fondamentale” ad uno in cui “con la creazione della famiglia patriarcale questo nucleo è stato oggetto di violenza” (p. 126).
L’analisi dei miti arcaici e della funzione del mito, il pensiero di Freud e in particolare la sua visione della donna, la storia dell’ostetricia, che evidenzia come la sapienza sul corpo della donna e sul parto sia stata “strappata dalle mani delle donne” e come da questo sia derivata la violenza di un “parto alienato”, non sono altro che “prove” che Rich porta per confermare la sua tesi e per proporre, sempre a partire dalla sua esperienza personale, una nuova “pedagogia” per madri che hanno figli maschi ed arrivare poi a quel capitolo fondamentale che è la rielaborazione del rapporto “madre-figlia”.
Il capitolo che si intitola M adri e figlie (altra immagine impensata che si pone come pietra miliare nel pensiero delle donne) è quello che contiene le intuizioni e le osservazioni che hanno aperto, insieme ai testi della Irigaray [8], gli orizzonti di quel pensiero delle donne e in particolare di quel testo di Luisa Muraro che è, a tutti gli effetti, un classico del “pensiero della differenza” e cioè L’ordine simbolico della madre, in cui Rich viene più volte citata, e in cui si passa dal riconoscimento dello “scisma madrefiglia” (come dice Rich) a quel concetto del “saper-amare” la madre e saper contrattare con lei il nostro stare al mondo. In questo capitolo ritroviamo la dichiarazione esplicita del riconoscimento alle donne venute prima e da questa riconoscenza il concetto di “genealogia femminile” che tanto fruttuosamente ha agito sulla pratica e sul pensiero delle donne.
“La perdita della figlia per la madre, della madre per la figlia, è la grande tragedia femminile”.
Vediamo in re Lear (scissione padre-figlia), Amleto (figlio e madre) ed Edipo (figlio e madre) i grandi simboli della tragedia umana, ma la passione madre-figlia non ha avuto un riconoscimento vivo ancor oggi. C’è stato in passato, ma è andato perduto.
mi riferisco qui a un tipo di forza che può solo essere il dono di una donna a un’altra, la nostra vera eredità. Fino a che non esisterà un forte filo ininterrotto d’amore, di approvazione ed esempio, da madre a figlia, da donna a donna, di generazione in generazione, le donne continueranno a vagare in un territorio ostile (p. 249)
E ancora:
Accettare, integrare, rafforzare la madre e la figlia in noi non è facile, perché gli atteggiamenti del patriarcato ci hanno spinte a dividere, polarizzare queste immagini, e a proiettare tutto l’opprimente senso di colpa, di rabbia, la vergogna, il potere, la libertà, sull’ “altra” donna, ma ogni impostazione radicale del femminismo esige una reintegrazione madre-figlia . Con l’adolescenza ci ritroviamo ad allontanarci dalle nostre madri naturali (…). Da quel momento è verso gli uomini che devono dirigersi le nostre energie sensuali ed emotive. La cultura ci dice in chiare lettere che né la madre nera né la madre bianca, né nessun’altra madre, sono “degne” del nostro amore e della nostra lealtà più profonda. Le donne diventano tabù per le donne, e non solo da un punto di vista sessuale, ma come compagne, co-creatrici e co-ideatrici. Nell’infrangere questo tabù, noi ci riuniamo alle nostre madri; riunendoci alle nostre madri infrangiamo questo tabù . (p. 258)
E basterebbero da sole queste frasi a far entrare nella storia del pensiero delle donne questo libro: il punto è che esso è una miniera in cui molti filoni sono stati aperti e ancora non tutti sono stati percorsi in profondità.
In particolare·resta aperto quello accennato nel capitolo VIII Madre e figlio, Donna e uomo, posto in termini molto chiari ed espliciti nel già citato Sottosopra del ’96: quello della “differenza maschile”, sulla quale incominciano a vedersi i frutti della ricerca fatta da uomini, valga per tutti il saggio di Victor J. Seilder Riscoprire la mascolinità [9].
(Giuseppina Corrias – docente di italiano e storia, studiosa di pedagogia)
[1] Pubblicata in 100 titoli. Guida ragionata al femminismo degli anni Settanta, a cura di A. Ribero e F. Vigliani, Luciana Tufani editrice, Ferrara 1998
[2] A. Rich, Segreti silenzi Bugie, Milano, La Tartaruga, 1982
[3] C. Zamboni, La sapienza di partire da sé, Napoli, Liguori 1996
[4] L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 74.
[5] C. Zamboni, op. cit., p. 162
[6] E. Rasy, La lingua della nutrice, Roma, Edizioni delle donne 1978
[7] È accaduto non per caso, in “Sottosopra”, gennaio 1996
[8] L. Irigaray, Sessi e genealogie, Milano, La Tartaruga, 1989
[9] V.J. Seidler, Riscoprire la mascolinità, Roma, Editori Riuniti, 1992