L’offensiva, Quaderni di Lotta Femminista, n. 1, Torino, Musolini, 1972
L’Offensiva è uno dei documenti più importanti del neo-femminismo italiano nella sua prima fase: esso è tale sia per il peso dell’organizzazione, Lotta Femminista, sia per la diffusione che trovò, sia infine per ”l’antefatto” che portò alla sua pubblicazione. Notevole inoltre è lo spessore teorico dei vari interventi che lo compongono.
Lotta Femminista era l’organizzazione nazionale più consistente e diffusa fra la fine del 1971 e la primavera del 1974, quando si sciolse. Composta in massima parte da donne provenienti dal gruppo della sinistra extraparlamentare Potere Operaio, era nata a Padova (che restava il nucleo più forte) e aveva sedi sparse in varie città d’Italia. Per sua iniziativa venne indetta nel 1973 la prima manifestazione nazionale femminista, a lato del processo padovano contro Gigliola Pierobon per procurato aborto.
L’Offensiva nasce da un convegno mancato alla Facoltà di Magistero di Roma, nel luglio 1972. In quella occasione Lotta Femminista aveva organizzato un seminario sull’occupazione femminile “aperto solo a donne in conformità alle necessità organizzative di tale gruppo e del movimento femminista complessivo”. Il seminario era stato materialmente impedito dall’irruzione di “uomini genericamente autodefinitisi compagni” che avevano aggredito le partecipanti. Le organizzatrici avevano quindi scritto una lettera di denuncia dell’accaduto ai giornali «Il Manifesto», «Lotta Continua» e «Potere Operaio», che aveva dato il via a una discussione a botta e risposta fra le tre organizzazioni di estrema sinistra e Lotta Femminista. L’Offensiva raccoglie e pubblica gli atti del seminario interrotto e riporta nella premessa tutto il carteggio con i giornali. L’impatto della pubblicazione dovette essere piuttosto importante, dal momento che a Torino un gruppo femminista appena sorto decise di prendere lo stesso nome, L’Offensiva appunto1[i].
L’ideologia di Lotta Femminista può definirsi compiutamente marxista-femminista: nella sua elaborazione teorica originale i due termini risultano perfettamente equidistanti. Si tratta di una posizione caratteristica, che non si ritrova in questi termini in nessuno dei gruppi femministi precedenti o successivi. I saggi raccolti ne l’Offensiva riguardano uno dei punti cardine di questa elaborazione: la definizione e l’analisi in termini marxisti (ma contro la tradizione marxista e sindacale) del lavoro femminile per eccellenza: il lavoro domestico.
Lotta Femminista intende riformulare le basi teoriche del marxismo a partire dall’analisi del “casalingaggio”, inteso come il dato che unisce tutte le donne al di là dell’appartenenza sociale e professionale. La teoria marxiana classica non ha visto il lavoro di cura cui tutte le donne sono costrette e che il capitalismo ha voluto gratuito. La riproduzione della forza-lavoro è stata quindi definita in termini esclusivamente maschili: “corrispondeva grosso modo all’immagine di un operaio che, ritirata la busta-paga, andava al mercato, faceva la spesa e la consumava, per rientrare quindi nuovamente nel posto di lavoro. Un ciclo di produzione-riproduzione in cui il soggetto attivo era sempre lo stesso” (p. 23). Di conseguenza i sindacati dimenticano costantemente il lavoro delle donne, e lo relegano in una sfera “precapitalistica” e “prepolitica”, rendendosi complici dell’oppressione esercitata dai lavoratori salariati sui lavoratori privi di salario. Questa cecità dei sindacati costituisce inoltre un fattore di grave debolezza per la lotta di classe, perché induce atteggiamenti particolarmente cauti e timorosi nell’individuo — la donna — che dipende completamente dal salario dell’operaio. La tradizionale difficoltà ad organizzare le donne e coinvolgerle nella lotta di classe è quindi causata dai sindacati stessi, che tradizionalmente fingono di non vedere il doppio sfruttamento delle donne e considerano persino il salario femminile di fabbrica una semplice “integrazione” del reddito familiare. Di qui la rivendicazione centrale, tipica di Lotta Femminista e non condivisa dalla maggior parte del movimento: il salario per le casalinghe, nel quadro delle rivendicazioni del “salario sociale” per tutte le categorie di “senza salario”.
I vari interventi in forma di saggio che compongono l’Offensiva sviluppano tutti un tratto particolare di questa analisi. Mariarosa Dalla Costa, figura di spicco dell’organizzazione, afferma la priorità della lotta nei quartieri rispetto a quella nelle scuole e nelle fabbriche: è il quartiere il luogo del lavoro femminile che precede, riproduce ed è inglobato nel lavoro di fabbrica e nella formazione data dalla scuola; Giuliana Pompei interviene sulla necessità del salario alle casalinghe; Marinella Cutuli, Sandra e Flavia Busatta analizzano le peculiarità della forza-lavoro femminile industriale in Italia; Selma James (femminista inglese del Women’s Liberation Workshop) interviene con una lucida ed approfondita analisi sull’atteggiamento tradizionale dei sindacati; la francese Brigitte Galtier sui meccanismi che relegano le donne nelle fasce salariali e professionali più basse anche in situazioni di pieno impiego.
Al di là della rielaborazione del marxismo, tuttavia, Lotta Femminista inaugura anche una serie di atteggiamenti, tematiche e strategie che con quello hanno poco a che vedere, e che qui appaiono soprattutto nello scambio di lettere riportato nella premessa. Vi è prima di tutto una scelta rigorosamente separatista — compiuta sull’esempio degli afroamericani negli Stati Uniti — che viene affermata con una forza notevole, specialmente nei confronti del gruppo politico di riferimento. Non manca naturalmente la rivendicazione del controllo della propria sessualità, e compare inoltre un tema ancora insolito per l’epoca come la rivendicazione da parte delle donne dalla propria aggressività: “Ci piacerebbe sapere se è perché siamo donne che non possiamo urlare”, si risponde a quattro “compagni”, ritorcendo l’accusa di avere urlato cose poco serie in alcune riunioni. Appare tuttavia un omaggio forzato all’ideologia della lotta di classe il fatto che ogni tipo di oppressione individuata viene sempre definita in termini di “capitalismo”, e anche il fatto di voler identificare necessariamente in una forma di lavoro — in questo caso il “casalingaggio” – l’elemento unificatore di tutte le donne. Sensibilmente diverso è il linguaggio utilizzato nell’Offensiva rispetto a quello che sarà più tipico del movimento femminista. Si tratta di uno stile molto “scritto”, in cui il soggetto è quasi sempre alla terza persona: spesso anzi è costituito da un’astrazione come “il capitale”. Lo stile d’altra parte riflette il fatto che il convegno da cui prende vita L’Offensiva è organizzato in modo tradizionale, con interventi prefissati e relatrici che parlano di fronte a un pubblico: uno schema che in seguito salterà completamente. Nei manifesti di lotta riprodotti infine, è possibile percepire un’eco del linguaggio tipico dei movimenti radicali statunitensi (come i Black Panthers), con il loro andamento ritmato e le frasi forti e spezzate.
[i] 1 Piera Zumaglino, Femminismi a Torino, Milano, Franco Angeli, 1996, p. 209.