Lieta Harrison
La donna sposata. Mille mogli accusano
Milano, Feltrinelli, 1972
Il libro è il frutto di un’indagine compiuta dal 1969 al 1971 su un campione di 1056 donne di cui 528 madri e 528 loro figlie. Obiettivo della ricerca è la descrizione della realtà matrimoniale in Italia e la verifica di eventuali cambiamenti delle condizioni in cui le figlie vivono rispetto alle madri e il loro modo di concepire il matrimonio. Si tratta di un’inchiesta spudorata in cui le donne coinvolte in un dialogo intimo tra esseri dello stesso sesso, riescono a rompere gli schemi classici tra intervistatore e intervistato, tra soggetto e oggetto della ricerca. I risultati della ricerca sono interessanti ancora oggi perché ci fanno capire come ancora prima che il femminismo si radicasse nella coscienza delle donne, cioè alla fine degli anni sessanta, esistevano le basi di un’inquietudine e di una ribellione riguardanti la sfera intima del privato. Chi oggi vuole studiare le origini del femminismo, la generazione che l’ha portato avanti e quella che l’ha preceduta, in questo libro, come in quello di Gabriella Parca, Le italiane si confessano, può trovare risposte a molte domande e restare meravigliato delle brucianti verità sulla sessualità e sulla miseria del matrimonio raccontate senza veli da ambedue le generazioni e con una punta di denuncia da parte delle figlie nel rivendicare un diritto non appagato. In effetti, se le condizioni delle madri e delle figlie sono identiche, è cambiato l’atteggiamento con cui vengono vissute. La Harrison così commenta i dati raccolti:
È passata una generazione — da madre a figlia — ma l’invecchiamento dei valori e degli atteggiamenti tradizionali è stato repentino: madri e figlie non si riconoscono più nella stessa esperienza (…) Ciò che ieri era vero, oggi sembra falso; valori fondamentali sono diventati giudizi. (p. 7)
Non a caso gli studiosi che tentano di ricostruire i cambiamenti avvenuti in Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta citano questo libro come fonte importante.
Le donne intervistate rappresentano un campione omogeneo, scelto in tre grandi aree urbane: Milano, Roma, Palermo. Al suo interno viene adottato il criterio della stratificazione socio-culturale, senza però essere né un campione probabile né stratificato, come intendono gli statistici. Esse appartengono a diversi gruppi sociali differenziati per istruzione, lavoro, reddito e status sociale ma presentano tre elementi comuni: madri e figlie sono coniugate e non separate, non hanno vissuto il trauma dell’emigrazione ed hanno conservato da una generazione all’altra lo stesso livello sociale. Le madri educate in epoca prefascista, sposatesi durante il fascismo, hanno mantenuto i valori legati al risparmio e alla produttività all’interno della famiglia, credono nel matrimonio e nei suoi capisaldi, nonostante la loro esperienza negativa. Con questi modelli hanno educato le loro figlie nel periodo della guerra e della ricostruzione. Le figlie, sposatesi negli anni del “miracolo economico”, si sono trovate di fronte ad una concezione del nucleo famigliare come unità di consumo, luogo consacrato all’uso degli elettrodomestici, regno della donna moderna liberata dalle fatiche domestiche ma destinata all’isolamento nella casa sotto il bombardamento di informazioni mass-mediali.
Questo diverso contesto ha cambiato le loro idee sul matrimonio. Su 528 figlie (244 romane, 162 milanesi e 122 palermitane) 478 non credono più ai vecchi valori e attribuiscono al sesso nel matrimonio grande importanza. Reclamano il loro “diritto all’orgasmo” e idealizzano un rapporto coniugale tra amanti. Per un’impiegata milanese di 28 anni il “sesso” è “un normale bene di consumo, come lo sport o la lettura” (p. 18). Per le madri invece il sesso è un dovere e il rapporto insoddisfacente è un fatto naturale e spesso viene vissuto come “un’operazione chirurgica fatta a vivo” che “per fortuna dura poco” (p. 41).
L’intervistatrice esplora gli aspetti più intimi della vita coniugale: la frequenza e la durata dei rapporti, l’orgasmo, la confidenza sessuale, le tecniche di seduzione, i tradimenti reciproci, la gelosia, le motivazioni al matrimonio, i metodi contraccettivi usati, la maternità come scelta, l’aborto. Di grande interesse sono le risposte che, oltre a fornire uno spaccato sociale della famiglia italiana, illuminano sulla precoce coscienza femminile in questi anni. Alcune testimonianze sono dei veri e propri manifesti rivendicativi. Una professionista milanese di 32 anni dice:
Se la società intende continuare a negarmi il diritto al rifiuto della maternità, deve allora garantirmi il diritto alla maternità. (p. 151)
Oppure una casalinga romana di 31 anni:
La società attuale fa di tutto per rendermi più “madre” di quanto io non lo sia nella realtà e per rendere mio marito quanto meno possibile “padre”. Noi madri veniamo sfruttate in nome della nostra maternità che viene caricata di responsabilità. (p. 130)
Denunce forti, queste, che fanno presagire parole d’ordine, obiettivi del movimento femminista degli anni ’70. Il risultato più significativo di questa inchiesta è che le differenze tra le intervistate attraversano tutte le aree geografiche e sono marcate fra le due fasce generazionali al di là della provenienza geografica.
Concetta Brigadeci
Concetta Brigadeci- Insegnante di italiano e storia nella secondaria superiore di Milano. Studiosa di storia delle donne e didattica della storia. Collaboratrice delle riviste “Lapis” e “Il paese delle donne”. Ha tenuto seminari presso la libera università delle donne di Milano.