A cura di Lidia Menapace, Per un movimento politico di liberazione della donna: saggi e documenti. In appendice: La questione femminile: interventi sul quotidiano Il manifesto.
Verona, Bertani, 1972.
Il libro è un’antologia composita, costituita da: diciannove articoli di femministe statunitensi, francesi, inglesi, cubane sulla situazione del movimento femminista nei rispettivi paesi di origine; un saggio sulla condizione delle donne in Cina prima della Rivoluzione, frutto di un colloquio con Chen Pi Lan “leader del movimento delle donne cinesi, leader del partito comunista cinese durante gli anni venti, e fra i fondatori del movimento trotskysta cinese”; tre discorsi di Fidel Castro risalenti al 1966, che illustrano i progressi compiuti dalle donne cubane per merito della Rivoluzione; un’introduzione di Lidia Menapace, militante di organizzazioni democratiche e femminili italiane, saggista e studiosa delle problematiche femminili e dei temi riguardanti lacondizione delle donne; un dibattito tra la stessa Menapace e alcune donne (Mirella Romoli, Mariella Gramaglia, due gruppi di Milano, Demau) ospitato da il «Il Mani festo» nei mesi di agosto, settembre, ottobre1971, sul rapporto tra lotta di classe e lotta di liberazione delle donne; un resoconto tratto da «Il Manifesto»del novembre 1971, non firmato, dello “scontro tra Betty Friedan e le femministe romane”, nel quale si precisa che le donne, quasi tutte del Collettivo di lotta femminista, hanno contestato “vigorosamente il ‘revisionismo’ di Betty Friedan” che pare invitare ad una tregua nel conflitto tra i sessi perché “in America come in Europa, c’è il grande pericolo di una svolta fascista, e quindi, non possiamo permetterci il lusso dicreare una frattura tra noi e gli uomini”.
Dei diciannove saggi, diciassette sono tratti da un complesso di quarantadue apparsi su una rivista molto nota a quei tempi negli ambienti politici di sinistra, «Partisans», edita da François Maspero, che nel numero 54–55 di luglio-ottobre 1970 (significativamente intitolato: Libération des femmes, année zero) e nel numero 57 delgennaio-febbraio 1971, aveva riunito materiali costituenti un quadro abbastanza circostanziato sul Movimentodelle donne, prevalentemente in Francia e in USA; due saggi invece sono tratti dal numero 65–66 della rivista«Casas de las Americas».
Molti degli scritti inseriti nell’antologia circolavano già da qualche anno anche in Italia tra le donne dei primi gruppi femministi: il vantaggio offerto dall’iniziativa editoriale non consisteva quindi tanto nella novità della proposta quanto nella raccolta in un unico corpo di testi importanti per il dibattito in corso allora. Tra i vari saggi segnalo i più noti, quali Bread and Roses di Kathy Mc Affee e Mynna Wood, che si propone una “descrizione dettagliata del modo in cui le donne sono oppresse in una società capitalistica (…) (per) comprendere meglio i rapporti tra l’oppressione psicologica e quella materiale”; Per un’economia politica dellaliberazione della donna di Margareth Benston; Casta e classe: una chiave per capire l’oppressione della donna di Roxanne Dunbar, che istituisce l’analogia tra la condizione delle donne e la condizione dei neri africani, analogia che avrà molto successo nei primi anni del femminismo.
C’è poi il saggio Le donne: casta, classe o sesso oppresso? di Evelyn Reed, inserito dall’autrice nella quintaedizione del suo libro Problems of women’s Liberation: a Marxist Approach, nel quale si individua, marxianamente, l’origine della subordinazione delle donne “nelle radicali trasformazioni sociali che portaronola famiglia, la proprietà privata e lo Stato”. Troviamo infine l’articolo di Anne Koedt Il mito dell’orgasmovaginale, senz’altro uno dei testi più diffusi e discussi tra le donne che in Italia iniziavano ad affiancare alleanalisi di natura economica e sociale le riflessioni sul corpo e sulla sessualità. Infatti, anche chi era poco disposta a rinunciare ad acquisizioni e consapevolezze provenienti da un discorso marxiano, cominciava ad avvertire una sorta di impasse e un senso di inadeguatezza delle categorie analitiche finora impiegate nella riflessione su di sé e sulla propria collocazione nel mondo.
Del resto, sebbene si fosse ben presto abbandonato un certo determinismo iniziale di stampo economicistico nei confronti della subordinazione delle donne e, di conseguenza, il capitalismo venisse considerato in rapporto al patriarcato in una dimensione storica di rafforzamento reciproco e non di meccanica deduzione dell’uno o dell’altro, nello sviluppo dei discorsi si finiva con il dare maggiore rilevanza alle questioni economiche e sociali rispetto ai temi della soggettività e dell’identità, con la spiacevole sensazione di non giungere mai al cuore del problema.
Gli altri saggi dell’antologia illustrano le pratiche politiche dei Movimenti delle donne nei vari paesi europei e americani, i loro rapporti con organizzazioni della sinistra tradizionale e della nuova sinistra, e trattano infine i temi del diritto delle donne all’autodeterminazione del proprio corpo e della responsabilità della psicologia nella costruzione dei ruoli sessuali, come il saggio di Navoni Weisstein Kinder, Kuche, Kirche come leggescientifica: la psicologia costruisce la donna.
Lidia Menapace nella sua introduzione dichiara una certa distanza dai settori del movimento femminista che non tengono conto “dell’organizzazione capitalistica del lavoro”, dal momento che ritiene prioritario tenere conto della discriminazione di classe nel femminismo.
Oggi, al di là del valore documentario, l’antologia è importante come spunto di riflessione, soprattutto in prospettiva di una ricostruzione delle origini del neofemminismo italiano. Costituisce infatti un esempio della sua duplice matrice culturale: quella mutuata appunto dal movimento statunitense degli anni Sessanta e l’altra tratta dal patrimonio di categorie analitiche della sinistra marxista.
Dalla prima sono derivate la pratica dell’autocoscienza, definita inizialmente “presa di coscienza” (a questo proposito c’è nell’antologia un interessante saggio di Kathie Sarachild che propone un programma articolato dettagliatamente in fasi e livelli vari per risvegliare la coscienza delle donne durante le riunioni); la parola d’ordine “no alla delega”; la valorizzazione della differenza, concretizzatasi nell’espressione “donna è bello”. Dalla seconda invece — almeno nei primissimi anni prioritaria in certe aree del movimento formato da donne provenienti da esperienze politiche maturate negli ambiti della nuova sinistra e della sinistra storica — derivarono le illuminanti analisi del rapporto tra i processi di produzione di merci e quelli di riproduzione biologica e sociale degli individui, le questioni dell’alleanza con i movimenti antagonisti ai sistemi politici ed economici dominanti, la messa a punto di modalità specifiche delle donne di partecipazione alla lotta diclasse.
Scheda critica a cura di Adriana Perrotta Rabissi
Adriana Perrotta Rabissi è Insegnante di Storia e Italiano, collabora con la Libera Università delle Donne, si occupa di storia del femminismo, di lavoro e scrittura delle donne. Svolge attività di formazione e di documentazione.