TEMATICA: IL DIRITTO DI ESISTERE
Noi bambine ad Auschwitz.
La nostra storia di sopravvissute alla shoah;
Bucci Andra e Tatiana
Mondadori 2020
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Breve libro che racconta in prima persona l’esperienza di due sorelline che molto piccole, a 4 e 6 anni, vengono deportate ad Auschwitz insieme alla madre,
La loro è una famiglia mista, padre cattolico e madre ebrea, che ha scelto di battezzarle sperando così di metterle al sicuro dalle persecuzioni che già avvertiva intorno.
Nonostante la madre dichiari che loro sono cattoliche, vengono prese lo stesso, rinchiuse prima nella Risiera di San Sabba e di lì deportate col treno ad Auschwitz, dove verranno separate dalla madre in due campi diversi, loro due nella baracca destinata ai bambini, la madre in un’altra sezione.
La caratteristica di questo racconto è che le due sorelle, le cui voci si alternano nel raccontare, rievocano i dieci mesi di prigionia, dall’estate del 1944 al 27 gennaio 1945, quando i soldati russi libereranno i prigionieri proprio ad Auschwitz Birkenau, rendendo con grande naturalezza le sensazioni che loro, da bambine quali erano, provavano in quelle condizioni così terribili.
Quasi una sensazione di “normalità” a cui bisognava aderire. Non potevano certo capire che cosa succedeva intorno a loro, ma il fatto di essere sempre vicine loro due, i contatti pur sporadici che la madre è riuscita a mantenere in quei lunghi mesi , facendole sentire non abbandonate del tutto, le ha preservate dalla disperazione.
Proprio questa vicinanza tra di loro, e con la madre è la ragione principale per cui dopo la liberazione dal campo, dopo i mesi trascorsi prima in un tristissimo orfanatrofio a Cracovia, e poi in Inghilterra in una struttura molto accogliente, adibita proprio all’accoglienza e al reinserimento dei bambini ebrei sopravvissuti ai Campi di sterminio, dopo il ritorno in Italia e il definitivo ricongiungimento con la madre, Andra e Tatiana riescono a riprendere i fili di una vita “normale”, non segnata dalla tragedia dell’olocausto.
Ritorna anche il padre che, in quanto non ebreo, non era stato internato e la vita riprende il suo corso: ritornano a scuola, si creano entrambe una famiglia, con figli, nipoti, lavorano.
Non parlano mai della loro esperienza, neanche in famiglia. Lo faranno solo molti anni dopo, su sollecitazione di persone che conoscendo la loro vicenda le solleciteranno a raccontarla nelle scuole, perché i ragazzi non dimentichino l’orrore successo.
Due sono gli elementi principali, che caratterizzano anche altre vicende di persone che sono state internate: la scelta di guardare sempre avanti, di non voler restare ancorati a quello che si è subito, per non restarne prigioniere per sempre, e la necessità di lasciar passare molto tempo, anni, se non decenni, prima di trovare il modo e la forza di raccontare agli altri quanto vissuto.
Né loro né la madre ritornano mai sulle loro vicende, lo faranno soltanto con i propri fidanzati, e poi mariti. E anche con i propri figli, dovrà passare molto tempo prima che trovino la forza di parlarne. Il timore di non essere credute è molto forte, ed é’ vero che per anni c’è stata un rimozione collettiva, almeno qui in Italia: chi era ritornato dai campi di sterminio spesso non veniva considerato, Primo Levi tra tutti.
Un punto molto importante è che loro vanno oltre la questione dell’olocausto come una tragedia soltanto ebraica, forse perché loro non sono state ebree praticanti, una di loro si definisce apertamente “ebrea atea”. Inoltre avendo loro vissuto molti anni in Istria, avevano anche dovuto subire un’ulteriore discriminazione in quanto Istriane, e alla fine della guerra si erano viste costrette di nuovo a lasciare i propri luoghi, la propria casa.
Il fatto stesso di aver subito differenti tipi di persecuzioni le ha paradossalmente aiutate ad avere una visione più ampia del mondo, della follia insita nella considerazione del “diverso da noi”, con tutto quello che ne deriva.
Accomunano in questa condizione i rom, i migranti le persone di colore, si chiedono se essere state vittime non dovrebbe portare ad una migliore comprensione e a una maggiore tolleranza nei confronti di tutti.
Riflettono anche su come la memoria sia stata utilizzata per aumentare la consapevolezza collettiva in alcuni paesi, ad esempio, la Germania, molto meno in altri, come l’Italia, e sul fatto che lo sterminio degli ebrei non sia imputabile esclusivamente ai Nazisti, ma anche ai Fascisti, e a coloro che collaborarono per anni e anni con Tedeschi e Fascisti nelle denunce, nelle violenze, nelle delazioni.