Sarebbe sbagliato datare la nascita degli women’s studies nelle Università italiane agli anni Ottanta, prendendo come punti di riferimento i due convegni del 1987 di Modena e di Roma (Marcuzzo e Rossi Doria, 1987[1]; Conti Odorisio, 1988[2]). Prima di ottenere sotto questa etichetta legittimità e visibilità grazie anche all’autorevolezza di cui godevano in altri paesi europei e negli Stati Uniti, gli studi delle donne (o sulle donne, che allora spesso coincidevano), senza nome o all’interno di discipline ospiti, entrarono in alcune Università del nord già agli esordi del movimento e contribuirono alla sua crescita anche oltre i confini accademici.

Chiara Saraceno fu una tra le prime studiose attratte dal femminismo che modificarono l’oggetto dei propri studi per concentrarsi sull’analisi dell’esperienza delle donne. Nell’ambiente aperto all’innovazione dell’Università di Trento dove Francesco Alberoni aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani sociologi e dove alcune studentesse davano vita a uno dei primi gruppi di autocoscienza, Chiara condusse nel 1969 un seminario, probabilmente il primo in Italia, sulla condizione della donna. Dalla parte della donna uscito nel 1971 accompagnò questo fermento, ne fu il risultato e in parte ne divenne anche un supporto a livello cognitivo e politico, considerato all’epoca quasi un manifesto programmatico oltre che un’analisi radicale della situazione delle donne.
In un recente colloquio che ho avuto con lei, Chiara Saraceno definisce il suo femminismo quasi “naturale” e il senso di “naturalezza”[3] traduce l’eco immediata che il femminismo faceva risuonare in molte giovani studentesse e studiose che vivevano la tensione — ben descritta nel volume — prodotta da una socializzazione ambivalente che, mentre apriva loro prospettive di parità e uguaglianza sessuale con la scolarizzazione, di fatto poi le orientava a un unico ruolo espressivo-affettivo all’interno della famiglia. Il radicamento in tale esperienza personale, condivisa da Saraceno con la corte delle giovani di quel periodo, anima il volume e contribuisce a collocarlo al confine tra un saggio di sociologia e un pamphletpolitico perché in ogni sua riga si leggono il coinvolgimento e la presa di posizione dell’autrice come soggetto politico alla ricerca non solo di un quadro teorico con cui leggere le diverse esperienze delle donne ma anche di soluzioni da prospettare.
Individuata la famiglia come il luogo della contraddizione specifica che vivono le donne — nel ruolo affettivo del privato e nella riproduzione di un lavoro non riconosciuto, pur nelle articolazioni delle loro diverse collocazioni sociali — è soprattutto sulle trasformazioni strutturali interne alla famiglia e al suo rapporto con lo stato che Saraceno svilupperà la sua ricerca. Ripercorrendo la sua vasta produzione scientifica[4], si riconosce come molti suoi lavori siano stati un approfondimento di tematiche e progetti già presenti in Dalla parte della donna e come li percorra un filo, rintracciabile nella attenzione rivolta alla molteplicità delle forme in cui si esprimono l’identità femminile e i suoi mutamenti, nella intersezione complessa tra tempi sociali, tempi storici, biografici e stratificazione sociale.
Il gender — categoria che Chiara Saraceno tra le prime importa dalla letteratura americana adottandola per la capacità che essa ha di contrastare le definizioni essenzialiste che fondano la femminilità sul concetto di differenza, e di ancorarla alla storicità e alla costruzione sociale, mantenendo aperta la dialettica tra le polarità del femminile e del maschile può essere considerata la chiave epistemologica con cui la Saraceno attraversa le diverse dimensioni sociali che contribuiscono a costruire le articolazioni e variazioni dell’essere donne: la struttura del tempo, le biografie e i corsi di vita, i modelli e le politiche del ciclo di vita, le strutture della cittadinanza, la divisione del lavoro, la costruzione e la politica della maternità e della paternità, la fecondità, le politiche demografiche e del welfare.
È sempre “dalla parte della donna” e per focalizzare lo sguardo sulla sua specifica povertà che, a partire dalla fine degli anni Ottanta e nei Novanta, Chiara Saraceno orienta i suoi studi ai problemi della povertà e dell’emarginazione. Fa parte della prima Commissione sulla povertà e della Commissione di indagine sulla povertà e l’emarginazione presso la presidenza del Consiglio (1994–1996) ed è coordinatrice dell’Osservatorio CEE sulle politiche contro l’esclusione sociale (1990–94) e di progetti di ricerca dell’Unione Europea sulle politiche familiari e su quelle di sostegno al reddito.
Si potrebbe definire Dalla parte della donna un saggio sulla complessità della condizione femminile, di cui si riconosce una specificità nell’essere trasversale alle diverse strutture della produzione, della riproduzione, della sessualità, della socializzazione e, quindi, non semplicemente deducibile dalla sola economia, come volevano all’epoca le sinistre. Il saggio rispondeva, su un doppio fronte, alle posizioni della sinistra che vedevano nel lavoro di per sé e nella rivoluzione un veicolo di emancipazione riducendo la “questione femminile” a un’appendice della teoria socialista, e alle interpretazioni del femminismo che riconducevano la contraddizione al patriarcato e allo sciovinismo maschile, trascurando l’analisi strutturale della società capitalistica.
La prima parte del libro percorre sinteticamente la storia del movimento delle donne dalla nascita del primo femminismo all’interno del radicalismo borghese coi suoi progetti di riforma sociale e con la regolamentazione del lavoro, attraverso la generazione che ottenne il diritto di voto, alla nascita della “questione femminile” come parte della più ampia questione sociale, fino al neo-femminismo scaturito dai movimenti degli anni sessanta.
La definizione dell’essere femminile in termini di ruolo sociale è il nucleo teorico del libro e la prospettiva da cui si pone l’autrice presente in tutto il saggio ma che trova nella seconda parte la sua espressione più articolata. Alla metafisica definizione della donna in base alla sua differenza, Saraceno contrappone l’origine storica e culturale della femminilità, il suo essere ruolo in una società determinata, concetto su cui è importante insistere perché è nella definizione metafisica della donna in base alla differenza — intesa come minorazione — che la discriminazione continua al di là di tutti i diritti acquisiti. Metodologicamente l’indagine deve vertere su “quali siano concretamente i rapporti sociali che definiscono la posizione della donna”, i modelli di comportamento, le immagini-guida, le forme di socializzazione — nella consapevolezza, tuttavia, di come anche il concetto di ruolo possa tradurre l’istanza metafisica in necessità sociale di equilibri e di ordine sociale e giustificare ancora una posizione di subordinazione e di disparità.
L’analisi è svolta per l’Italia ma con alcuni confronti con altri paesi, in particolare con l’Unione Sovietica e con gli Stati Uniti. Con Betty Friedan e Carla Ravaioli[5] Saraceno riconosce la funzionalità al mercato del lavoro della figura della casalinga. C’è da parte della società interesse al mantenimento di una divisione del lavoro in base alla quale alla casalinga è assegnata una serie enorme di servizi non pagati. D’altra parte non condivide la proposta all’epoca sostenuta dal gruppo del salario al lavoro domestico (L’offensiva, 1972; Dalla Costa, 1972), perché il salario alle casalinghe non farebbe che confermare questo ruolo delle donne, pagandole per una disponibilità totale, una condizione per cui si dovrebbe parlare propriamente di schiavitù. Ma sotto il denominatore comune del ruolo di “vestale dei rapporti primari”, esiste una pluralità di singole donne. A fronte delle spinte alla unificazione del movimento, cercata nell’accento posto sulla oppressione, come base comune che attraversa ceti sociali e razze, Saraceno, al contrario, mette in evidenza le differenze, la molteplicità delle esperienze delle donne, segnate in particolare dalla variabile di classe.
L’ultima parte del libro Per la liberazione della donna, la più politica, suggerisce le possibili prospettive di cambiamento. Se il lavoro rimaneva la domanda essenziale per l’emancipazione della donna, un altro elemento fondamentale sarebbe stato il controllo delle nascite che l’avrebbe liberata dalla schiavitù di gravidanze non volute, svincolando la sessualità dalla maternità e da “una dimensione proprietaria del corpo altrui legalizzata dal matrimonio”. Ma la sessualità separata dalla procreazione è per Saraceno una precondizione di per sé non sufficiente per l’emancipazione femminile, se significa per la donna essere identificata ancora quale essere prevalentemente sessuale, definita all’interno dei rapporti primari.
La liberazione sessuale avrebbe dovuto essere accompagnata da un “ripensamento della intera struttura familiare”. Era necessario svincolare almeno parzialmente la socializzazione dalla famiglia di procreazione, con lo sviluppo di agenzie e servizi parzialmente o totalmente sostitutivi della famiglia-madre e con un “investimento del collettivo” che avrebbe consentito anche la fine della proprietà dei genitori sui figli. Una prospettiva che rifletteva in parte il pensiero utopista degli anni sessanta, ma che si muoveva anche in direzione di quello stato sociale quale si realizzerà almeno in parte in alcune regioni italiane negli anni ottanta. Nello stesso tempo, e non in alternativa, si trattava di educare gli uomini a collaborare.
Tra l’insensibilità dei partiti della sinistra e la loro visione riduttiva della questione femminile in dipendenza automatica dai progetti rivoluzionari e, sull’altro versante, la “chiusura della politica femminista a una analisi in termini strutturali della società” a favore di una interpretazione di “mera contrapposizione tra i sessi”, Saraceno occupa una posizione intermedia di mediazione.
Il testo si conclude come una sorta di manifesto politico che echeggia il linguaggio e i toni della sinistra dell’epoca. L’oppressione e l’emarginazione femminile sono segno e conseguenza della illibertà anche del compagno della donna e dei figli. Perciò la lotta per la liberazione della donna è comune alla lotta per la liberazione dell’uomo e, storicamente, alla liberazione del proletariato perché, se la subordinazione e l’oppressione femminile precedono il capitalismo, è questo che ne definisce i termini. Il libro si colloca agli inizi del neo-femminismo italiano e di questi primi anni epici possiede la natura ibrida e l’impostazione prevalentemente politica e militante. In quegli anni scrivere un libro sulla condizione delle donne era un modo di precisare la propria identità. La maggior parte dei documenti non portavano una firma. Ci si presentava collettivamente (con anonimati che mascheravano parole autorevoli e silenzi dipendenti), oppure si preferiva presentarsi col semplice nome di battesimo, familiare e privato piuttosto che col patronimico pubblico. In questo panorama Chiara Saraceno scrive e firma un libro da sola, situandosi fin dall’inizio in una posizione tangenziale rispetto al femminismo e in un certo senso trasgressiva, con un’assunzione di autorità di parola pubblica e di responsabilità individuale come soggetto politico che altre tardavano ad esprimere.
Dalla parte della donna è un libro “militante” ma è, nello stesso tempo, una prova, una delle prime in Italia, di applicare modelli teorici della sociologia all’analisi della condizione delle donne. La sua importanza mi sembra dunque risiedere nel riflettere quel rapporto tra cultura e politica che si è sempre configurato nel femminismo italiano in un intreccio continuo, nel suo situarsi nell’interfaccia tra movimento delle donne e accademia. L’accento politico originato dal coinvolgimento anche personale che lo percorre tutto spiega il successo che ebbe il volume non solo quando uscì (ebbe sei ristampe tra il ’72 e 1“89). A lungo rimase libro di chevet per le giovani femministe anche se la soggettività di genere dell’autrice resta velata da una lingua e da concettualizzazioni che attingono prevalentemente a fonti, modelli e categorie sociologiche, funzionaliste e marxiane. Queste ultime, d’altra parte, costituivano i discorsi prevalenti in cui si erano formate le prime teoriche del nuovo femminismo così come alcune delle loro madri o sorelle straniere cui la Saraceno fa riferimento.
In questo come in altri studi degli inizi le donne sono ancora oggetto alla ricerca, in una prospettiva che in seguito l’epistemologia femminile ribalterà spostando la questione del genere dall’oggetto al soggetto (dagli studi sulle donne agli studi delle donne). Apparentemente l’autrice sembra invece collocarsi al di fuori del proprio oggetto d’analisi, non parla “a partire da sé”, non si mette in fabula. Le sue analisi e argomentazioni politiche anche molto radicali sono sostenute con un supporto ricco di fonti, sociologiche e femministe, prevalentemente straniere, da quei luoghi (Stati Uniti, Germania, Francia), dove sia il movimento delle donne che la ricerca femminista avevano avuto un anticipo di tempi, se non di elaborazione teorica. I molti riferimenti, quasi la dipendenza, da libri e studiose stranieri era — come evidenzia Paola Di Cori[6] - quasi obbligatoria per le italiane in quegli anni, data la strutturale difficoltà di rapporto con le istituzioni accademiche. Il debito esterno era molto alto (da de Beauvoir a Mitchell, Kate Millet, Boserup, Friedan, per citare solo alcuni dei nomi più noti).
Il libro forniva, dall’esterno, alle esperienze e alle scoperte dell’autocoscienza uno sfondo storico-sociale su cui proiettarle. Costruiva un senso e una legittimità del fare politica delle donne, inserendo la loro esperienza all’interno di una storia, di un linguaggio, di una tradizione. Perciò, indirettamente, il testo ci interroga sulla questione centrale ancora oggi: ‘come attraversare le discipline, i saperi che abbiamo ereditato, i linguaggi parlati da un solo genere per tutti con consapevolezza femminista, portando il soggetto sessuato? Come utilizzare questi linguaggi senza farsene colonizzare? Utilizzarli, utilizzare le loro teorie e la loro grammatica o criticarli, scoprirli, destrutturarli o abbandonarli?[7] “. La soluzione di molte di piegare linguaggi, teorie e concetti già esistenti a una loro applicazione al nuovo oggetto, non può più essere la risposta di oggi. A partire dagli anni Ottanta i progetti di empowerment femminili si sono accompagnati nelle Università e in altri luoghi di riflessione e di ricerca a una rivoluzione epistemologica a partire dal genere tuttora in corso. Una rilettura di Dalla parte della donna ci suggerisce di evitare che questa dimensione di ricerca teorica si autoescluda dalla politica, da una politica intesa come promozione delle differenze e sviluppo delle risorse che differenze e molteplicità portano con sé.
Scheda critica di Franca Balsamo
Franca Balsamo – sociologa, ricercatrice, scrittrice e documentarista freelance
[1] Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi Doria (a cura di), La ricerca delle donne, Rosenberg&Sellier, Torino 1987
[2] Ginevra Conti Odorisio, Gli studi delle donne nelle Università: ricerca e trasformazione del sapere, E. S. 1., Napoli, 1988.
[3] Intervista a Chiara Saraceno, Torino, ottobre 1997.
[4] Principali pubblicazioni di Chiara Saraceno: Ideologia religiosa e conflitto sociale (in collaborazione con Gian Enrico Rusconi), De Donato, Bari, 1970; Dalla parte della donna, De Donato, Bari, 1971 (VI ristampa 1979); (a cura) Alla scoperta dell’infanzia, De Donato, Bari, 1976; (a cura) La famiglia nella società contemporanea, Loescher, Torino, 1975; Anatomia della famiglia, De Donato, Bari, 1976 (3a ristampa 1978); (a cura) Il lavoro mal diviso, De Donato, Bari, 1980; (a cura) Età e corso della vita, Il Mulino, Bologna, 1986 Pluralità e mutamento. Riflessioni sull’identità femminile, F. Angeli, Milano, 1987; Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 1988 (2a edizione 1996); (con Manuela Olagnero) Che vita è. L’uso dei materiali biografici nell’analisi sociologica, La Nuova Italia Scientifica, 1993; (con Simonetta Piccone Stella, a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna, 1996; (con Nicola Negri), Le politiche contro la povertà in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996; (con Marzio Barbagli, a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna, 1997.
[5] Carla Ravaioli, La donna contro se stessa, Bari, Laterza, 1969.
[6] Paola Di Cori (a cura di), Altre storie. La critica femminista alla storia, Bologna, CLUEB, 1996
[7] Paola Di Cori, Culture del femminismo. Il caso della storia delle donne, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. III, tomo 2, Einaudi, Torino, 1997