TEMATICA: IL DIRITTO DI ESISTERE
Ogni mattina a Jenin, Susan Abulhawa
Susan Abulhawa
Feltrinelli 2011
Formato e‑book In prestito su MLOL per abbonat* BIBLIOTECHE CIVICHE TORINESI
Questo libro racconta le vicende tragiche, ma anche felici, di un certo numero di famiglie, uomini e donne palestinesi dal 1941 ai primi anni 2000.la storia di alcune famiglie palestinesi. La storia si sviluppa intorno al giovane Hassan e Dalia, la giovane moglie beduina, la cui vita viene stravolta nel 1948, anno della creazione ufficiale dello Stato di Israele, quando inizia in modo massiccio l’invasione da parte dell’esercito Israeliano del villaggio in cui vivono.
Già negli anni precedenti si erano verificate periodiche incursioni nei villaggi palestinesi vicini al confine con Israele, caratterizzate da violenze e distruzioni che costringevano gli abitanti a lasciare le loro case e i loro campi, incursioni che culminano con l’invasione più massiccia del 1948, anno della costituzione ufficiale dello Stato di Israele, quella che gli arabi definiscono Al Nakba, la catastrofe.
Durante questa occupazione, un soldato israeliano, Moshe, sottrae dalle braccia di Dalia il figlio minore, il piccolo Ismail, per portarlo a casa alla moglie sterile Jolanta, che lo alleverà con grande amore. Il neonato palestinese Ismail diventa così David, giovane israeliano fedele al suo paese, e quando in punto di morte il padre gli rivela la verità si produce una rottura insanabile nella sua famiglia. David vivrà sempre con contraddizione la sua doppia identità, araba e israeliana, la rifiuterà all’inizio, scontrandosi anche violentemente con il fratello arabo Yussef e il tentativo di riavvicinarsi, molti anni dopo, alla nipote Sara, emigrata negli USA, riconoscendosi in una stessa umanità, riuscirà solo in parte.
La protagonista principale è Amal, la terza figlia di Dalia, che descrive la sua infanzia di bambina che riesce ad essere felice anche nelle condizioni di estrema povertà del campo profughi, in cui si susseguono matrimoni, nascite, e contemporaneamente episodi di espropri di terre, case distrutte, piccole e grandi sopraffazioni da parte dell’esercito occupante. La sua vita si svolgerà per alcuni anni in America, per completare gli studi universitari a cui ha avuto accesso con una borsa di studio, ma il richiamo della sua terra la induce a tornare con l’obiettivo di restare a vivere a Jenin. . La creazione di una sua famiglia, il matrimonio, l’attesa di un figlio, sono interrotti bruscamente dalla recrudescenza del conflitto con Israele, tanto da costringerla, suo malgrado, a mettersi al sicuro negli Stati Uniti, dove nascerà la figlia Sara. Amal tornerà ancora una volta in Palestina, con la figlia ormai adulta, ma non ci sarà lieto fine in questo suo ritorno, che si concluderà per lei tragicamente.
Le vite di Dalia, di Amal e di tutte le altre persone che abitano quella parte di Palestina si snodano negli anni in un contesto di perenne conflittualità, in cui alla violenza dell’esercito israeliano si contrappone la violenza dei giovani palestinesi, animati da un odio feroce per gli israeliani, da cui si sentono ingiustamente oppressi e perseguitati. Odio che li trasforma in terroristi, aderenti alla nascente OLP, autori di attentati violenti anche contro i civili israeliani. Odio genera odio, in un significativo passaggio del libro si enumera il numero di civili palestinesi morti in uno scontro, , avvenuto in rappresaglia di una precedente strage di israeliani, a sua volta preceduta da una uccisione di palestinesi, e così via, in una spirale impossibile da spezzare.
In questo contesto storicamente determinato, tragicamente attuale, sembra di leggere una cronaca dei nostri giorni; da 70 anni ad oggi si sta ripetendo lo stesso dramma, senza uscita. Queste due popolazioni confinanti rivendicano ciascuna le proprie ragioni: Israele proclama il diritto divino a ritornare nella Terra promessa, una terra senza popolo che può a buon diritto essere occupata da un popolo senza terra, come ribadito dal movimento Sionista per la costruzione del Grande Israele, dal Giordano al Mediterraneo.
La shoah e le infinite persecuzioni di cui gli ebrei sono stati oggetto da secoli in tutta Europa possono rendere ragione della sopraffazione della popolazione araba non responsabile dell’olocausto, perpetuato dal nazismo guidato da Hitler, ma anche da molti suoi seguaci in altri paesi, compresa l’Italia? I palestinesi che su quelle terre vivevano da generazioni, molto prima degli ebrei, quali responsabilità hanno? E’ questo il prezzo che loro devono pagare per consentire agli ebrei perseguitati di costruire un loro stato in un luogo sicuro? E’ impossibile una mescolanza delle due comunità?
Il romanzo è scorrevole, con capitoli brevi, la lettura avvincente, i principali eventi bellici degli ultimi 50 anni, la guerra del Kippur, la strage di Sabra e Shatila, sono storicamente documentati , le vicende dei singoli mettono in luce non tanto ragioni e torti, ma la disumanità di una condizione di sofferenza che colpisce comunque sempre le persone innocenti, proprio come l’olocausto ha colpito ebrei innocenti. Ci induce a riflettere come dall’odio subito non possa nascere altro che odio. La speranza ingenua che le vittime di una enorme violenza ingiustificata possano imparare ad astenersi dall’esercitarla su altri, non esiste. La violenza subita lascia soltanto uno strascico di paura, l’esigenza di difendersi a qualunque a costo, il desiderio di vendetta,
Resta l’amara sensazione che Israele resti un popolo condannato prigioniero di se stesso, condannato ad una perenne aggressività, che genera come reazione non tanto solidarietà e vicinanza quanto fastidio e ostilità, con il rischio di rinfocolare un antisemitismo ancora molto diffuso, e che d’altra parte il popolo palestinese sia condannato ad una vita confinata, senza prospettive, senza reali possibilità di sviluppo.