Lesley Gore (1946 ‑2015) nei primi anni 60 quando le girls band erano molto popolari.
Questa la sua testimonianza:
“When I first heard that song at the age of 16 or 17, feminism wasn’t quite a going proposition yet. Some people talked about it, but it wasn’t in any kind of state at the time. My take on that song was: I’m 17, what a wonderful thing, to be able to stand up on a stage and shake your finger at people and sing you don’t own me.”
“La prima volta che ho sentito quella canzone, all’età di 16 o 17 anni, il femminismo non era ancora un progetto definito. Qualcuno ne parlava, ma non aveva ancora acquisito una posizione ufficiale. Il mio approccio a questa canzone fu: “ho 17 anni, che cosa meravigliosa stare su un palcoscenico e ammonire il pubblico a dito alzato cantando “tu non sei il mio padrone!”
La canzone a cui si riferisce è del 1963, forse vi sarà capitato di sentirla, ma è il testo che conta
questa la sua traduzione (John Madara e David White)
Tu non sei il mio padrone, non sono uno dei tuoi molti giocattoli Tu non sei il mio padrone, non dire che non posso andare con altri ragazzi E non dirmi cosa devo fare, e non dirmi cosa devo dire, e per favore, quando esco con te non mettermi in mostra, perché Io non sono tua, non cercare di cambiarmi in nessun modo Non sono tua, non legarmi, non ci starei mai Io non ti dico cosa devi dire né quello che devi fare. Per cui, lasciami essere me stessa, è tutto ciò che ti chiedo. Sono giovane e adoro essere giovane, sono libera e amo essere libera. Vivere la mia vita come voglio dire e fare tutto quel che mi piace
Nacque a Brooklin in quell’ ambiente ebraico newyorchese da cui scaturì tanta della pop music Americana. Il suo successo da adolescente non la indusse a organizzare la sua vita intorno alle sue performance. Sarebbe stato sciocco disse al tempo basare la sua vita su un percorso così aleatorio e volatile.
Dedicò alla carriera di cantante solo il tempo dell’estate e dei weekend. E continuò a studiare descrisse poi la sua esperienza al Sarah Lawrence College così:
“per me, il campus era come un paradiso. Una bella scuola, con un’ottima filosofia gestionale. Le donne erano trattate come esseri umani, e questo a QUEI tempi. Era una bella sensazione sentirsi una donna e il Sarah Lawrence aveva una grossa parte nel farmi provare questa sensazione”.
Fu lì che si rese conto di prediligere le donne.
“Prima del college, semplicemente non ero riuscita ad esaminare i miei sentimenti, avevo dei fidanzatini, era previsto che ci si sposasse all’epoca… Parte del problema per me era il mio avere un ruolo pubblico. Ma era comunque difficile addirittura rifletterci o informarsi in merito. Non ne avevo l’opportunità. Ora, quando parlo a qualcuna delle mie amiche gay, che potrebbero essere appena un po’ più vecchie di me, loro mi dicono che arrivavano da Long Island e dal New Jersey indossando I loro jeans e giacchette nere e e lei non si dichiarò ma non ne fece mai mistero… “Cercavo semplicemente di vivere nel modo più normale che fosse umanamente possibile”.
Si schierò pubblicamente solo in un suo show degli anni 2000, dopo che la cover di You Don’t Own Me contenuta nel film “Il club delle prime mogli” la riportò alla fama pubblica.
Ecco quella versione:
disse “Incontravo un sacco di giovani del Midwest e vedevo quale differenza faceva uno show come “In the life” per le loro vite in quelle piccole città dove forse c’erano solo due gay in tutto.
Intelligenza, cultura e capacità la condussero durante tutto il suo percorso personale sino alla morte a 68 anni.