The Boston Women’s Health Book Collective, Noi e il nostro corpo, Milano, Feltrinelli, 1974, traduzione di Angela Miglietti, 370 p.
titolo originale: Our Bodies, Ourselves, New York, Simon & Schuster, 1971
Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta i movimenti radicali americani (dei neri, studenteschi, delle donne, pacifisti) concentrano la propria attenzione sulla denuncia del sistema sanitario americano. Tale denuncia, nella quale sono in prima fila le femministe, si articola su più livelli: la natura speculativa della ricerca medica e farmaceutica, condotta nell’ottica del profitto e seguendo una visione maschile della salute, come nel caso eclatante degli anticoncezionali, sperimentati su migliaia di donne portoricane e avente come obiettivo esclusivamente la fertilità delle donne, non quella degli uomini; l’assenza negli USA di un sistema di sicurezza sociale, che espone le categorie più deboli, tra le quali le donne singole e sole, alla miseria economica e alla ricattabilità sociale (es. induzione alla sterilizzazione e alla cessione dei figli in adozione); la diffusione dell’aborto clandestino, con il suo altissimo costo di vite umane; la diffusione della cultura medica maschile. Di questa vengono analizzati e denunciati l’interventismo, legato alla idealizzazione delle tecniche; la manipolazione del paziente, in particolare se donna, visto come sottomesso al medico; la medicalizzazione di eventi naturali come il parto e di un settore così delicato come quello del disturbo mentale.
In questo contesto, il collettivo di Boston a cui si deve la compilazione di questo testo — che può legittimamente considerarsi una delle espressioni più mature del neo-femminismo — è una delle voci più autorevoli di quegli anni nell’esprimere dissenso, ma anche elaborazione creativa, sul tema della salute. Lo Women’s Health Book Collective nasce a Boston tra il ’69 e il ’70 come gruppo di azione e riflessione sul tema donne e salute, e produce Our Bodies, Ourselves dopu un lavoro di tre anni. Del collettivo fanno parte donne tra i 20 e i 40 anni, facenti parte del movimento di liberazione, bianche, colte e della classe media, impegna te tuttavia anche sul fronte delle diseguaglianze sociali.
Il contenuto-guida del libro è, come si legge nel titolo, il corpo femminile. Naturalmente esistevano all’epoca ed esistono tuttora testi che parlano di questo soggetto: la novità, di valore rivoluzionario, sta nel fatto che esso non costituisce “l’oggetto” di una trattazione condotta da un osservatore e studioso neutrale, né funge da tramite per argomentazioni e messaggi di tipo pedagogico / morale indirizzato alle donne e alle coppie da un autore che si colloca fuori dal tema stesso. Il corpo di cui si parla è la biologia, l’evoluzione fisica e psichica, la sessualità della donna-cheè‑un-corpo: punto di vista che è reso assai bene dalla traduzione del titolo in italiano: Noi e il nostro corpo.
Le autrici hanno costruito un testo, concepito prima di tutto come una utile guida per le donne, che risulta dall’intreccio di fonti scritte, consulenze di esperti ma soprattutto di stralci di interviste e auto-interviste, che sono la trascrizione di dibattiti svolti in piccoli gruppi, nei quali l’oggetto di discussione è costituito dalle esperienze dirette delle partecipanti. Se guardiamo infatti l’elenco delle autrici che compare nella prima pagina del testo, vediamo che si tratta in realtà di gruppi più o meno consistenti di donne, a volte (come nel caso delle lesbiche) di un intero collettivo che si è fatto carico di un capitolo. La stesura dei contenuti è perciò il frutto della consultazione simultanea di più fonti, tra le quali quella dell’esperienza diretta è considerata portante. Solo così il corpo può non essere mero “oggetto” del volume, ma punto di partenza e fuoco di attenzione di molte vite ed esperienze impegna te in un’autointerrogazione e in un’autoscoperta.
Il libro si articola perciò su due livelli fondamentali, tra loro interagenti: quello della guida, consultabile in ogni momento, anche solo nella parte di interesse immediato. E quello della descrizione di una presa di coscienza. Il primo livello è trattato con molto scrupolo, e si distingue per l’attenzione ad utilizzare termini della quotidianità, in modo che le lettrici possano avere risposte dirette e concrete ai loro interrogativi. In essa argomenti considerati scottanti come quello della masturba zione, o dell’amore lesbico, vengono trattati con serenità, senza esaltazioni e senza distanze di tipo tecnico. È tuttavia il meta-livello della presa di coscienza il fulcro del libro, ciò che lo rende a distanza di trent’anni1 una produzione di avanguardia.
Oggi diremmo che Noi e il nostro corpo è il risultato di una ricercaazione, secondo una terminologia che mutuiamo da Kurt Lewin e dalla psicologia sociale. La sua compilazione, infatti, ha, corrisposto ipso facto ad un processo di cambiamento nella coscienza delle autrici. La lunga prefazione è centrata infatti sul metodo e sul processo seguiti dal collettivo. Essa ci racconta — ad esempio — come le autrici abbiano iniziato a sentirsi abbastanza competenti da occuparsi di argomenti medici; di come il lavoro in piccoli gruppi si sia sviluppato per progressivi coinvolgimenti, di come si sia svolto, e in che cosa sia consistito, il processo di apprendimento da cui il libro è scaturito come uno dei risultati.
Le donne del collettivo affermano essere stato proprio l’interesse per il corpo a smuovere in loro il desiderio di conoscenza. Questo insight le ha aperte alla consapevolezza che è l’elusione del corpo a renderci ostici molti argomenti o aree del sapere, costruiti spesso o per stigmatizzarlo o per evitarlo, con il pretesto che si tratti di un’area “bassa” o banale dell’esperienza, come metterà a fuoco qualche anno dopo Adrienne Rich in Nato di donna2. A questo proposito è significativo l’aneddoto narrato nel libro, in cui, nel corso di una riunione molto tediosa, era stata l’improvvisa proposta di una partecipante a muovere il corpo, facendo insieme qualche esercizio, a mobilitare nuovamente in ognuna il desiderio di procedere nella discussione e nello studio. L’episodio fa capire che per arrivare a interessarsi di noi e il nostro corpo è occorso un lungo processo, in cui le donne si sono infine legittimate a considerare i propri corpi come argomento valido e degno, così come degne di considerazione esse hanno infine potuto considerare se stesse.
Una seconda intuizione fondamentale contenuta nel testo è che non esiste apprendimento senza che intervenga un’emozione, un coinvolgi mento diretto in ciò che viene trattato. Perché si apprenda, occorre che il contenuto elaborato abbia a che fare con la persona coinvolta permettendole di dare delle risposte sul proprio essere al mondo nel presente.
Tra gli interrogativi che il libro pone, centrale appare quello su che cosa sia la femminilità. La risposta che le autrici forniscono a questo interrogativo dà più di ogni altra il senso della maturità di pensiero che il testo rappresenta. La risposta proviene infatti dal percorso di coscienza sperimentato direttamente dalle autrici. La prima fase, esse dicono, è stata quella della dipendenza infantile da una autorità esterna dalla quale aspettarsi di ricevere un indirizzo sulla propria stessa vita. Tale autorità per la donna coincide spesso con il principe azzurro. La seconda fase, è stata caratterizzata dalla identificazione con un modello totalmente nuovo, che risultava nel semplice rovesciamento di quello vecchio e produceva per conseguenza atteggiamenti duri, più duri di quelli maschili. La terza fase, invece, ha coinciso con la ricerca della compiutezza, di una femminilità gioiosa, che includesse il maschile in quanto parte della propria bisessualità psicologica.
Il libro, letto a distanza di quasi trent’anni, rivela qualche limite. Il più eclatante sta forse nell’età delle autrici, la maggior parte delle quali all’epoca molto giovani. Da ciò dipende probabilmente l’enfasi particolare assegnata, ad esempio, ai metodi anticoncezionali a discapito di altre problematiche, quali la menopausa o la genitorialità. Un altro limite riscontrabile a distanza di tempo è una evidente distanza difensiva da argomenti quali quello della maternità: esso viene infatti affrontato con la continua sottolineatura di quanto essa costituisca una scelta e non un obbligo per la donna, mentre sulle soddisfazioni e implicazioni che essa comporta vengono spese poche parole. L’ultimo limite, di natura invece culturale (il libro è pur sempre “made in USA”), è il riferimento implicito alla visione tipica della psicologia umanistica (Maslow, Rogers), spesso eccessivamente idealizzante sulle potenzialità e risorse dell’individuo e invece silente su questioni spinose, quali quelle del conflitto, in particolare con la propria madre, così cruciale per “le donne e il loro corpo”.
Maria Teresa Fenoglio
Oltre che autrice di questa scheda critica, Maria Teresa Fenoglio è stata la giovane viaggiatrice che da Boston tornò a Torino con l’originale di Our Bodies Ourselves in valigia. Poi l’ottima traduttrice Angela Miglietti si mise al lavoro e in un tempo abbastanza breve il libro fu pubblicato in Italia. Oggi Maria Teresa Fenoglio è una psicologa e si dedica all’insegnamento e al volontariato in situazioni di emergenza. Nel 2001 ha fondato l’associazione Psicologi per i Popoli